Com’è cambiato il mondo del commercio enoico negli ultimi 17 anni, tra il 2000 ed il 2016, e cosa devono fare le imprese del vino per assecondare e cavalcare questi cambiamenti? È la domanda che si è posto l’Observatorio Espanol del Mercado del Vino, cui ha risposto con lo studio “New wine scenarios: trade and commercial strategies”, presentato alla Conferenza n. 24 della European Association of Wine Economists, di scena nei giorni scorsi a Bologna.
Innanzitutto, le macro tendenze individuate sono tre.
Per prima cosa, l’equilibrio tra produzione e consumi, raggiunto in questi anni, con l’eccezione di annate eccezionalmente: nel mondo, in media si bevono poco più di 240 milioni di ettolitri di vino ogni anno, un dato stabile ormai da anni, che subisce solo piccole oscillazioni in alto o in basso, con la produzione che, ormai lontana dai picchi degli anni Ottanta, quando superava i 300 milioni di ettolitri, si aggira sui 270 milioni di ettolitri.
Il secondo trend riguarda invece la bipolarizzazione dei consumi, raccontata dai dati di sintesi delle vendite nel periodo: tra il 2000 ed il 2016, infatti, a crescere, in termini di volumi, sono stati principalmente gli sfusi e le bollicine.
La terza ed ultima tendenza in atto, quindi, non è che lo specchio, o comunque uno dei motivi, della bipolarizzazione: i nuovi consumatori. Se i consumi, come detto, sono stabili da decenni, la quota di export rispetto ai consumi stessi è passata dal 18,2% del 1990 al 26,8% del 2000, fino al 42,1% del 2016: in pratica, il vino si continua a produrre nei Paesi storici, quindi Italia, Francia e Spagna, ma si beve ormai ovunque, dagli Usa alla Cina, seppure in maniera diversa, con gli stessi Usa, consumatori maturi, che guardano con attenzione al rapporto qualità/prezzo, mentre in Asia vanno forti le etichette premium.